Menu principale:

Pop Biology


Vai ai contenuti

quando attrae il medesimo sesso

Articoli

QUANDO ATTRAE IL MEDESIMO SESSO

Negli ultimi decenni gli etologi, vestiti gli improbabili panni di guardoni delle faccende amorose di vertebrati e non, hanno osservato in natura inequivocabili comportamenti omosessuali, a lungo ritenuti prerogativa della cattività. La lista è lunga, con tutta la casistica permessa dalle diverse combinazioni di tendenza (eterosessuale o omosessuale) e comportamento (maschile o femminile). Si spazia dall’esplicito amplesso tra due lucertole maschio, alla femmina di spinarello che ne corteggia un’altra, fino all’inconsueto rapporto eterosessuale documentato tra tetraoni dal collare, in cui un maschio manifestava il comportamento femminile e una femmina quello maschile. E’ bene fare subito una premessa: l’omosessualità non ha nulla a che vedere con l’ermafroditismo, fenomeno per cui coesistono nel medesimo individuo caratteri sessuali di entrambi i sessi, con funzionalità alternativamente o contemporaneamente maschile e femminile. Quando parliamo di comportamento omosessuale facciamo riferimento ad atteggiamenti copulatori o preparatori all’accoppiamento tra rappresentanti del medesimo sesso, e che possono essere dovuti a una reale preferenza, o semplicemente all’incapacità di distinguere il sesso del partner. Tra questi due estremi – omosessualità sensu strictu e imbarazzante errore – si colloca un incredibile ventaglio di situazioni, supportate da una caratteristica propria di tutti gli animali, che già nel 1935 Konrad Lorenz chiamava “ambivalenza sessuale”, ovverossia la capacità di manifestare, in quanto parte del bagaglio comportamentale, non solo il ruolo tipico del proprio sesso, ma anche quello dell’altro.
Fino a una ventina di anni fa l’omosessualità era stata osservata unicamente in animali selvatici tenuti in cattività o in animali domestici. La si riteneva quindi un fenomeno frutto delle alterate condizioni di vita. Le cause individuate sono la mancanza di stimolo adeguato, lo stato di necessità e l’imprinting errato. Nei primi due casi, studiati in popolazioni di roditori, si parla soprattutto di omosessualità forzata, quando cioè la sovrappopolazione, la mancanza di partner dell’altro sesso e la prolungata astinenza spingono verso scelte omosessuali, in questo caso probabile meccanismo di regolazione demografica. In tali situazioni il ritorno all’eterosessualità è però immediato, una volta ristabilite condizioni ambientali normali. Diverso è il discorso dell’imprinting errato. In alcune specie animali la capacità di riconoscere i sessi e di comportarsi secondo il proprio, si apprende in età precocissima, e in un periodo di tempo ben determinato e in genere breve. La mancanza di tale informazione può influenzare irreversibilmente il comportamento sessuale. E’ stato ad esempio dimostrato che pulcini maschi di anatra allevati per oltre tre mesi in assenza di femmine, formano da adulti coppie omosessuali, anche se posti in presenza dell’altro sesso.
La questione si è ovviamente complicata con la scoperta di comportamenti omosessuali in condizioni assolutamente naturali. Verificare l’esistenza di un comportamento sessuale non riproduttivo, qual è appunto l’omosessualità, in gruppi zoologici tanto diversi e lontani tra loro, ha posto gli etologi di fronte a un fenomeno sopravvissuto alla selezione naturale nonostante il suo paradosso evolutivo, quello cioè di essere un comportamento che impedisce la riproduzione. Come spiegarlo?
Non facile è trovare una giustificazione evolutiva ai casi in cui il comportamento omosessuale è dovuto all’incapacità di riconoscere a vista il sesso del partner. Si verifica ad esempio nei rospi, che nell’eccitazione del delirio amoroso sovente sbagliano bersaglio, e anziché stringere in un fecondo abbraccio femmine consenzienti, si trovano avvinghiati a maschi riluttanti, che solo un particolare grido di avvertimento – non emesso dalla femmina – salva da situazioni quantomeno imbarazzanti. (Più che di vista, quello del rospo sembra però essere un problema di controllo, dato che in alcune occasioni è stato visto tentare intimi approcci persino con ignare tinche che nuotavano nei paraggi!). Un’analoga situazione si ritrova in tutt’altro gruppo zoologico, quello degli insetti emitteri – cimici e afidi, per intenderci -, senza peraltro alcun riconoscimento
in extremis, per cui si assiste a numerosi quanto involontari approcci omosessuali, sovente conclusi da copule infeconde.
Presta invece il fianco a qualche interpretazione evolutiva quanto osservato in alcune specie di uccelli. Tra femmine di gabbiano occidentale, ad esempio, è stata documentata la formazione di vere e proprie coppie omosessuali, in cui i due individui collaboravano all’allevamento dei piccoli nati da relazioni extra-coppia. In questo caso l’omosessualità può avere una valenza stabilizzante all’interno di una comunità che mostra un momentaneo disequilibrio numerico tra i sessi.
Con l’evolversi della socialità, il comportamento omosessuale sembra assumere una notevole importanza nel regolare la gerarchia e la stabilità del gruppo. Nei nostri cugini primati, maestri nel gestire i rapporti sociali con la sessualità, è tipica l’associazione di comportamento maschile a dominanza, comportamento femminile a sudditanza. Sovente, ad esempio in babbuini e scimpanzè, maschi di basso rango sociale utilizzano l’atteggiamento femminile di disponibilità all’accoppiamento per inibire l’aggressività del maschio dominante, che reagisce con una monta simulata per sottolineare la sua posizione gerarchica. Ma è nei bonobo, o scimpanzè pigmei – da alcuni ritenuti i “figli dei fiori” del regno animale -, che si osserva l’uso più disinvolto e creativo della sessualità. In questo gruppo di primati, filogeneticamente vicinissimo a noi, l’impiego di atteggiamenti omosessuali sia maschili che femminili è quotidiano. Nella società dei bonobo, assai più pacifica di quella dei cugini scimpanzè, si assiste a un costante ricorso ad attività sessuali per ridurre al minimo conflitti e tensioni, con il totale sovrapporsi del comportamento sessuale a quello sociale, e la conseguente separazione tra riproduzione e sessualità. L’utilizzo del sesso per la sua funzione di conciliazione, mediazione e pacificazione, non è quindi limitato nei bonobo alle coppie di adulti eterosessuali: l’innato bisogno di coesistenza pacifica li porta a scambiarsi effusioni con qualunque altro partner, senza badare a sesso, età o gerarchia. Nei bonobo, ad esempio, si osservano con regolarità atteggiamenti omosessuali tra femmine adulte, comportamento raramente documentato negli altri primati. In questi animali, purtroppo oggi a serio rischio di estinzione, la sessualità non riproduttiva assume un’imprescindibile funzione nella comunicazione e nella stabilità del gruppo, giustificando così il suo utilizzo, anche se non mirato alla produzione di progenie.
L’omosessualità animale in natura, per quanto ci è dato di sapere oggi, ha quindi una probabile valenza sociale ancor più che fisiologica, ma rimane al momento un fenomeno così eterogeneo da far ipotizzare cause molteplici, non per forza riconducibili a quelle che la scatenano in cattività. Lasciamo ad etologi e sociobiologi il tempo di trovarne, forse, il filo conduttore.
Claudia Bordese
pubblicato su Piemonte Parchi n.134, marzo 2004, pp.8-10


Home | Libri | Articoli | Eventi | Links | Chiacchierate | Mappa del sito


Torna ai contenuti | Torna al menu