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papere nella corrente

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PAPERE NELLA CORRENTE

Il mare è un libro aperto, ogni onda è la pagina di una storia diversa, il cui racconto è iniziato lontano nel tempo e nello spazio. Abbiamo assaporato tutti il fascino di un vecchio tronco spiaggiato sulla riva, nel tentativo di leggere nelle sue cicatrici i segni di una terra lontana, di un altro sole, di altre genti.
Il mare non è immobile. La statica superficie azzurra riprodotta dalle carte geografiche non è che un fermo immagine di un film inarrestabile. Anche quando paiono un placido specchio, le acque degli oceani sono solcate da correnti incontenibili e cascate tumultuose, generate e alimentate da differenze di temperatura e di salinità. Ci impiega centinaia di anni, ma la goccia d’acqua smossa dalla nostra pigra bracciata prosegue imperturbabile il suo viaggio intorno al globo, noi un’insignificante interruzione nel suo peregrinare per gli oceani. La natura lo sa, e ha costruito la sua storia evolutiva anche sfruttando le correnti marine. Avanzi rocciosi emersi in seguito a eruzioni sottomarine o residui calcarei pazientemente innalzati da coralli multicolori, accolgono semi, larve e giovani animali giunti da lontano a bordo di legni e correnti, veri colonizzatori delle nuove terre.
Le correnti continuano a scorrere. Noi della vecchia Europa godiamo da sempre dei privilegi di quella del Golfo che nasce di fronte al Messico grazie a una marcata salinità, e spinta da questa e dalla differenza di densità viene a scaldare e nutrire le nostre coste. Altre correnti mitigano e alimentano clima e rive, sfamano i cetacei nelle acque polari, e smuovono, nutrendoli, i mari del mondo. I mutamenti climatici possono influenzare la velocità e l’esistenza stessa delle correnti, tanto che lo scioglimento dei ghiacci polari potrebbe arrivare a fermare quella del Golfo, e le correnti stesse possono inconsapevolmente farsi vettori di veleni e inquinanti. La neonata coscienza ecologica ci frena oggi dal gettare rifiuti in mare, ma gli enormi danni del passato iniziano a presentare il conto, da pagare in specie scomparse e coste soffocate.
Conoscere le correnti che muovono le acque degli oceani significa anche studiare interventi per tutelare il mare e le sue interazioni con l’uomo. Uno dei sistemi utilizzati dagli oceanografi per conoscere velocità e direzione delle correnti è quello di rilasciare in acqua dispositivi galleggianti, dei tecnologici messaggi in bottiglia da monitorare e recuperare per conoscere le autostrade del mare. Si può arrivare a rilasciarne alcune centinaia, indubbiamente un numero notevole, ma insignificante rispetto all’insperato contributo del fato in una notte buia e tempestosa di quindici anni fa: una allegra flotta di paperelle di plastica! Era il 10 gennaio 1992, una violenta tempesta batteva le acque del 45° parallelo, in prossimità della linea del cambio di data, nel cuore dell’Oceano Pacifico settentrionale. Ne fu vittima un cargo che, partito da Hong Kong, viaggiava alla volta della costa nord americana con un carico di diverse migliaia di tonnellate. La violenza del mare portò la nave a inclinarsi di oltre 50°, e alcuni container, rotti gli ormeggi che li trattenevano, caddero in mare. Di certo uno nell’impatto si aprì e liberò nell’acqua il suo carico: 28.800 animaletti di plastica galleggianti, grandi come un pugno, equamente suddivisi tra rane verdi, tartarughe blu, castori rossi e paperelle gialle. Immediatamente saltata a bordo della corrente circolare subpolare, flusso di acque oceaniche che scorre in senso antiorario tra Alaska e Siberia, l’allegra brigata ha iniziato un lungo viaggio nel tempo e nello spazio, nella scienza e nella fantasia, regalandoci una storia infinita e occhi nuovi con cui guardare il mare. Dieci mesi dopo, nel novembre del 1992, le prime paperelle (simpatia o comodità hanno in breve trasformato lungo il viaggio nei mezzi di informazione rane, castori e tartarughe in paperelle, non ce ne vogliano quegli animaletti) sono approdate sulle fredde coste dell’Alaska, scovate tra scogli e detriti da ignari passanti e instancabili
beachcombers, gli entusiasti setacciatori di spiagge. In breve la notizia del bizzarro ritrovamento ha raggiunto l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer, oggi in pensione ma ancora grande conoscitore delle correnti oceaniche che studia proprio grazie alle ricerche sui relitti galleggianti. Ha scoperto la provenienza delle paperelle, non senza fatica vista l’ovvia riluttanza di comandanti e armatori a divulgare i propri insuccessi, e dopo aver racimolato dati sui primi recuperi, a centinaia, sulle coste dell’Alaska, delle isole Aleutine, della Kamchatka e del Giappone, Ebbesmeyer ha provato a ipotizzare il futuro itinerario dei giocattoli galleggianti, all’epoca ancora intrappolati nella corrente circolare subpolare. Aiutato nelle sue ricerca da James Ingraham, l’anziano oceanografo ha predetto che alcune paperelle avrebbero potuto abbandonare a sud tale percorso salendo a bordo della corrente circolare subtropicale che scorre in senso orario nel Pacifico centrale lambendo le isole Hawaii, e che altre, più intrepide, avrebbero addirittura potuto fuggire verso nord, imboccando lo stretto di Bering per affrontare un’incredibile avventura attraverso il Polo Nord fino all’Oceano Atlantico. La classe non è acqua, è proprio il caso di dire, e il tempo gli ha dato ragione: entro cinque anni dall’inizio della loro avventura migliaia di paperelle hanno invaso le coste dell’Alaska, mentre altri animaletti spintisi a sud lungo la corrente subtropicale sono spiaggiati alle Hawaii, sulle coste australiane e su quelle sudamericane. Come ipotizzato, alcune migliaia hanno affrontato il grande nord, gli iceberg giganteschi, i morsi dei leoni di mare, l’acqua che lentamente è divenuta ghiaccio e che in un gelido abbraccio le ha trasportate a una velocità di circa un chilometro e mezzo al giorno verso l’Atlantico. Contemporaneamente il viaggio si è fatto anche virtuale, la storia infinita è defluita sui mezzi di informazione e il tam tam mediatico ha allertato gitanti e bagnini. Nel 2000 i primi animaletti galleggianti, reduci della grande traversata polare, vengono avvistati tra le onde dell’Atlantico del nord, e nel 2001 le papere più intrepide galleggiano silenziose nel luogo dell’affondamento del Titanic. Il viaggio continua, sull’acqua e nei media. Mentre esauste paperelle iniziano a spiaggiare a centinaia sulla costa orientale degli Stati Uniti, la casa produttrice, la First Years di Avon nel Massachusetts, offre una ricompensa di 100 $ a chiunque recuperi e invii una paperella, un castoro, una tartaruga o una rana, reduci del naufragio di ormai ben undici anni prima! Vengono pubblicati due libri per bambini che narrano la storia di questi novelli navigatori, racconti per la fantasia scritti grazie a una nuova lettura della realtà naturale. Le previsioni degli oceanografi si spingono lontano nel tempo, arrivando a presupporre un massiccio sbarco sulle coste irlandesi e britanniche nell’estate del 2007. Sbiadite dal sole, parzialmente decomposte dalle intemperie e dagli abbracci di alghe e animali incrostanti, lo scorso luglio paperelle ancora sorridenti hanno toccato terra nel Devonshire, dopo un viaggio di qundici anni. Altre sono attese a breve, e ad aspettarle c’è anche una papera gialla di due metri e mezzo di altezza, costruita dall’artista olandese Marga Houtman che, raggiunta nel 2003 dalla notizia della storia infinita, ha deciso che non poteva non esserci una mamma ad attendere questi inconsapevoli eroi!
Costruiti per sopportare gli strapazzi di un bimbo di due anni, papere, rane, castori e tartarughe hanno affrontato e superato incredibili avversità, come se gli oceani fossero niente di più di un’immensa vasca da bagno. Forse è proprio così, nessun luogo è lontano se una paperella di plastica può percorrere decine di migliaia di chilometri per raggiungerci ovunque nel mondo.
Hanno potenziato gli studi sulle correnti, sensibilizzato il pubblico sui problemi ambientali, stimolato la fantasia di grandi e piccini, e soprattutto ci hanno insegnato, per dirlo con le parole di Curtis Ebbesmeyer, che “ogni cosa ha una storia”.
Si può imparare molto da una papera di plastica sulla spiaggia.
Claudia Bordese
pubblicato su Piemonte Parchi n. 171, dicembre 2007 pp.16-18


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