Chiacchierate (quasi) quotidiane
LETTERA APERTA
Cara Claudia Bordese,
le scrivo perché sono molto interessata alla conferenza “Ti amo in tutte le specie del mondo: alla scoperta delle strategie riproduttive dei viventi” che lei terrà il giorno 15 aprile. Infatti, il tema di questo incontro mi ha incuriosita sin dall’inizio. Penso che scoprire in che modo gli animali si rapportano fra loro, anche in fatto di riproduzione, possa aiutarci a scoprire qualcosa in più anche su di noi. Ci siamo evoluti molto, ma, in fondo, siamo animali, e dentro di noi sono rimasti sempre, nel corso dei secoli, istinti tipici animaleschi. Lei si occupa di etologia e quindi studia i comportamenti dei diversi animali nei loro habitat e penso che questo s ia molto affascinante ed interessante. Ho letto a riguardo alcuni articoli sul suo sito Pop Biology ed anche le cosiddette “chiacchierate”, che mi hanno subito interessato anche per la chiarezza e la semplicità con cui sono state scritte. Ho scoperto così molti nuovi fatti riguardo agli animali. In particolare mi ha molto colpita la chiacchierata con il titolo “Odori e baci”. Sapevo già che un fattore che influisce molto nella scelta del partner è l’odore, sia per gli uomini e che per gli animali, ma non sapevo che ci indicasse proprio con chi è meglio dare vita a nuovi individui. In sostanza, quindi, è l’odore che ci fa innamorare di un individuo. E l’innamoramento scaturisce, inconsciamente, dal volere di continuare la specie. Riguardo a questo ho una domanda: è possibile che l’amore, inteso come l’attrazione per il carattere del partner oltre che per il suo aspetto fisico e come volere il suo bene e la sua felicità, sia l’evoluzione di un inizialmente unico desiderio sessuale? Ossia, può essere vero che l’amore, non inizialmente insito nell’uomo, sia nato successivamente, scaturendo dal desiderio sessuale, con l’unico scopo di rendere la riproduzione qualcosa di molto più piacevole e ripetibile? Avevo letto alcuni articoli riguardo a questa teoria, la quale mi aveva molto incuriosita ma, a dir la verità, anche un po’ sconvolta. Lei che cosa ne pensa?
Grazie per la sua attenzione, sono impaziente di assistere alla sua conferenza.Saluti
Costanza Proietti
Cara Costanza,
grazie per la tua bella lettera, curiosa e stimolante.
La riproduzione è l'atto vitale per eccellenza, che definisce e guida i comportamenti di tutti gli organismi viventi, e noi esseri umani non siamo esenti dalla sua influenza. L'amore non è una nostra prerogativa, se con questa potente parola vogliamo racchiudere tutti quegli atteggiamenti e comportamenti che ci legano, a volte in maniera indissolubile, a un partner con cui desideriamo condividere l'esistenza e la cura della prole.
E' proprio questa la chiave di tutto. Alla conferenza "Ti amo…in tutte le specie del mondo" (grazie in anticipo per la tua preziosa presenza!) scoprirai che in natura il successo dell'esistenza non è dato dal benessere materiale - soldi, posizione, potere - ma dal benessere dei figli, e che tutte le volte che la loro sopravvivenza richiede la presenza di entrambi i genitori, l'evoluzione ha modellato specie monogame, stabili, fortemente legate, noi potremmo dire "innamorate". Ecco allora forse cos'è l'amore: un legame reso solido e duraturo dal desiderio non tanto di un effimero appagamento sessuale, quanto di assicurare e garantire un futuro ai propri geni.
Innumerevoli sono le strategie messe in atto dalle diverse specie per raggiungere questo obiettivo, e tra i tanti stratagemmi c'è anche la comunicazione tramite messaggeri chimici, i feromoni, per la ricerca del partner più adatto, proprio quell'"odore" che nei mammiferi - ma non solo - gioca un ruolo così importante.
Ma di questo, e molto altro, riparliamo venerdì alla conferenza.
Ti aspetto, dunque, e intanto ti saluto caramente.
Claudia Bordese
CHI NON RISICA NON ROSICA
Chi non risica non rosica. I serpenti giarrettiera sono piccoli rettili dalla livrea vistosa. Dopo il letargo invernale, i primi tepori della primavera scaldano i sensi e spingono a ricercare un partner con cui accoppiarsi. Alcuni maschi scelgono di “travestirsi” da femmine, assumendone l’odore che, in questa stagione dell’anno, è immediatamente riconosciuto dagli altri maschi come irresistibile invito a un appassionato amplesso. Immediatamente l’audace travestito viene preso d’assalto da decine di maschi eccitati che si avvolgono in un intricato groviglio, nel disperato tentativo di riuscire ad accoppiarsi. A questo punto, dall’inestricabile matassa in cui ha bloccato e annodato i rivali, l’astuto travestito si sfila zitto zitto per andare a fecondare indisturbato una femmina, forse già un po’ indispettita per essere stata così vistosamente ignorata. Originale ma efficace tattica a cui ricorre circa il 15 per cento dei maschi, quelli cioè forti abbastanza da reggere l’orda di congeneri, probabilmente pensando che «chi non risica non rosica».
Claudia Bordese
EROI DELL'ARIA
Rotte migratorie solcano il pianeta. Non solo quelle di infelici esseri umani in fuga da fame e terrore. Molti animali migrano, persino alcuni insetti. Fino a oggi si pensava che le farfalle Monarca detenessero il record di distanza, percorrendo oltre 3000 km per raggiungere dal Nord America i luoghi di svernamento in Messico. Si è ora scoperto che le libellule del genere Pantala solcano in sciami addirittura gli oceani, raggiungendo l’Africa dall’Asia, il Giappone dal Nord America. Non molte ce la fanno, ma tutte affrontano il viaggio, perché almeno qualcuna arrivi. Dotate di energia insufficiente a compiere simili trasvolate, hanno imparato a sfruttare con perizia venti e correnti, grazie a cui planano per centinaia di chilometri e raggiungono nuove aree di riproduzione per diffondere la specie, senza temere l’ignoto.
Claudia Bordese
STRANE ALLEANZE
Gli uccelli trampolieri come aironi e ibis che nidificano in molte zone tropicali, depongono in genere più uova di quelle che riescono a covare, e ogni stagione riproduttiva uno o due pulcini muoiono perché i genitori non riescono ad alimentarli a sufficienza. Dura, durissima legge di natura. Ma la natura ricerca sempre l’equilibrio. Le femmine di alligatore che vivono nelle medesime zone, stazionano spesso in prossimità dei nidi dei trampolieri, proteggendoli dall’attacco dei predatori, e nutrendosi dei nidiacei morti che cadono in acqua. In questo modo, ricavano prezioso nutrimento per la loro stagione riproduttiva, successiva a quella dei trampolieri, e difendendo nidi e nidiacei rendono meno vana la morte di quegli sfortunati pulcini.
Claudia Bordese
ODORI E BACI
Esiste un legame tra certi odori emessi da uomini e donne e particolari sequenze geniche del sistema immunitario, e hanno portato all’incredibile scoperta che tali odori ci spingono inconsciamente a preferire partner il cui sistema immunitario è complementare al nostro. Forse il famoso colpo di fulmine non è altro che l’inconscio stupore del nostro odorato di fronte alla propria perfetta metà, l’incastro che genererà figli sani e robusti, vigorosi e longevi, ottima garanzia per traghettare ai posteri i nostri geni. Il sudore è il mezzo di trasporto dei nostri feromoni, il messaggero di richieste imploranti e sdegnose risposte, il veicolo di audaci dichiarazioni e bisbigli amorosi. E noi che cosa facciamo? Imbavagliamo la nostra umana e sensuale fragranza con i deodoranti più energici e persistenti, la mascheriamo dietro costosi ma anonimi profumi, con il rischio di dire per sempre addio all’unione perfetta. Anche il bacio, forse la più sensuale delle manifestazioni amorose, è – come l’odore – il mezzo di comunicazione di una moltitudine di informazioni sulla compatibilità genetica. Mentre le bocche si congiungono e le lingue si sfiorano, questi dati raggiungono i cervelli dei due potenziali amanti alla velocità di un processore di ultima generazione, e impietosi sentenziano sul loro futuro amoroso. Buon bacio a tutti.
Claudia Bordese
LO SPAZIO VITALE
Incurante del trascorrere del tempo, lo spazio scandisce l'ecologia delle specie sin dalla comparsa della vita sulla Terra. E' stato necessario limitarlo a una microscopica cellula per permettere alle prime reazioni biochimiche di avvenire, per poi vederlo diventare un'imprescindibile variabile nella lotta per la sopravvivenza dei singoli e delle specie. La gestione dello spazio è un fragile equilibrio nel regno dei viventi, dove piante e animali sgomitano per uno spicchio di terra, un raggio di sole, una via di fuga. L'impollinazione e la disseminazione a mezzo del vento e di ignari animali annullano l'illusoria immobilità delle piante, in grado di in realtà di diffondersi e conquistare territori con invidiabile efficienza. Tra gli animali, la dispersione, le migrazioni, la scelta del luogo in cui nidificare, la difesa del territorio, rappresentano costose pratiche comportamentali, che però è sovente necessario intraprendere per garantirsi un pasto, assicurarsi un partner e migliorare le proprie possibilità di sopravvivenza. E noi? La nostra specie da millenni guerreggia per avere più spazio, sinonimo di risorse e di potere. Diverse culture modulano i comportamenti secondo rigide separazioni spaziali, e la stessa comunicazione è fortemente influenzata dalla distanza fisica interpersonale. Ma lo spazio è una coperta corta; se per rifornire le nostre fameliche mense continuiamo a strappare terreno alle foreste, scopriremo presto che la nostra ingombrante impronta sul pianeta esige uno spazio che non c’è.
Claudia Bordese
PARASSITI DELLA SOCIETA'
Oltre la metà delle specie viventi sono parassite, e la restanti sono ospiti riluttanti. La possibilità di vivere a spese di un'altra specie si è ripresentata innumerevoli volte nella storia naturale della Terra, e il fatto che forme libere si siano evolute in forme parassite in momenti, luoghi, e gruppi animali differenti, non fa che sottolineare la validità di questa soluzione adattativa, efficace e falsamente pietosa alternativa alla predazione. Qui il danneggiato non si chiama più preda ma ospite, quasi avesse accolto con benevolenza chi, per un istante o una vita intera, lo indebolirà, spoglierà e impoverirà. Il parassitismo non ha però solo un significato biologico, ma anche sociologico. In questa accezione, il parassitismo diventa il comportamento e l'agire di chi, all'interno di un gruppo o in generale della società, vive a spese degli elementi produttivi. La criminalità organizzata è il nostro peggiore parassita: si inserisce subdolamente nel tessuto connettivo del suo ospite, all'inizio in maniera quasi asintomatica, poi in un crescendo di richieste che debilita il tessuto produttivo della comunità colpita. Non produce nulla, sfrutta e spreme le risorse altrui, aiutato da elementi che nascosti dietro rispettabili facciate sfruttano a loro vantaggio malsane connivenze con la delinquenza organizzata. Depauperando e impedendo la crescita, questi parassiti assestano un duro e spesso insuperabile colpo alla comunità colpita. Unica difesa, il più agguerrito sistema immunitario contro i devastanti invasori, è il senso dello Stato.
Claudia Bordese
BIODIVERSITA'
Molte parole si spendono per conservare la biodiversità, il patrimonio che la natura e l'evoluzione hanno modellato nel corso di centinaia di milioni di anni. Ma non è solo per amore della variabilità naturale che si devono salvaguardare quante più specie possibili. La molteplicità della natura è il serbatoio del nostro benessere, è l'arma che ci può permettere di sopravvivere a calamità e disastri. Per dimostrarlo basta una mela. E' uno dei frutti maggiormente presenti sulle nostre tavole e proprio per questo, e per le sue ottime qualità organolettiche, rappresenta uno dei pilastri dell'agricoltura di molti paesi temperati. Ovviamente non le mancano i nemici. Il più temuto è un fungo, Venturia inaequalis, agente della ticchiolatura, flagello in grado di causare ingenti perdite nei raccolti, oggi tenuto sotto controllo con potenti fitofarmaci. Da anni è pressante l'esigenza di ridurre al minimo l'impiego di sostanza chimiche nelle colture, favorendo l'utilizzo di tecniche alternative quali la lotta biologica o la modificazione genetica. Una soluzione è offerta dalla cisgenesi, ovvero l'introduzione in un organismo di geni provenienti dalla medesima specie o genere. Questa tecnica mette fine ai dilemmi sull'impiego di OGM, giacché quello che viene effettuato in laboratorio non è dissimile da quanto potrebbe accadere in natura per semplice riproduzione sessuale, favorito e accelerato dalle tecniche di ingegneria genetica oggi in nostro possesso. In pratica da meli selvatici è stato prelevato il gene della resistenza alla ticchiolatura, ed è stato inserito in specie di melo coltivate. Cugini un po' rustici ma fortunatamente ben conservati, i meli selvatici hanno offerto la possibilità di aprire una nuova strada verso il miglioramento genetico, fondamentale per il trattamento anche di malattie dell'uomo. Non sarà un percorso agevole, molto ancora deve essere risolto e messo a punto, ma lo potremo percorrere con maggiori speranze se avremo l'accortezza di preservare la biodiversità, anche nel nostro giardino.
Claudia Bordese
ACQUA, FONTE DI VITA
E’ difficile accettare il fatto che l’acqua, fonte di vita, possa esserlo anche di malattia e di morte. Oltre alle quasi trecentomila morti accidentali annue per annegamento, l’acqua veicola malattie debilitanti e sovente letali. Pratiche che a noi paiono più che scontate, come lavarsi le mani, preservare l’acqua da fonti inquinanti, evitare il contatto delle acque fognarie con i campi, sono in realtà quasi sconosciute o mal praticate nella maggioranza dei paesi africani e del sud-est asiatico, con gravi conseguenze sulla salute delle popolazioni e lo sviluppo economico delle aree coinvolte. Basti pensare che quasi due milioni di bambini muoiono ogni anno per le conseguenze della dissenteria provocata dall’ameba e da altri parassiti intestinali ingeriti con acqua o verdure contaminate. E che centinaia di milioni di esseri umani sono annualmente debilitati dalla malaria (un paio di milioni ne muoiono) o menomati dall’elefantiasi, malattie parassitarie veicolate da zanzare che potrebbero essere ridotte coprendo le vasche di raccolta dell’acqua, dove proliferano le larve di zanzara. La stessa pratica di immergersi e lavarsi in stagni o laghi in zone tropicali ha come possibili conseguenze malattie causate da parassiti che penetrano attivamente nella nostra pelle direttamente dall’acqua in cui sguazzano. Un bambino malnutrito e in più sfiancato da malattie contratte con l’acqua che beve o in cui si lava, sarà uno studente svogliato e disattento, un adulto debole, costretto a lavori umili in quanto impreparato, e il paese ne pagherà le conseguenze in termini di spesa sanitaria e ritardato sviluppo sociale ed economico. Può sembrare un’esagerazione, ma il peso economico e sociale di queste malattie potrebbe essere ridotto di almeno un decimo semplicemente diffondendo e imponendo pratiche elementari, quali il lavaggio accurato delle mani, la bollitura o la filtrazione anche solo attraverso pezze di cotone dell’acqua da bere, e la costruzione di bagni per impedire la contaminazione delle fonti potabili. Soluzioni facili come bere un bicchier d’acqua, per lasciarle il ruolo di portatrice di vita.
Claudia Bordese
RIDERE
“Chi ha il coraggio di ridere, è il padrone del mondo” scriveva Giacomo Leopardi, e questo, con una presuntuosa e arbitraria applicazione della proprietà transitiva, ci ha portati a credere di essere gli unici animali in grado di mostrare allegria con il volto e con la voce. Il problema è che non è facile comprendere quale comportamento in una data specie animale sia il corrispondente del nostro timido sorridere o della sana e liberatoria sghignazzata. Alcuni anni fa uno scienziato americano notò che i cuccioli di ratto, camminandosi addosso, si lasciavano andare a un frenetico “cinguettio”, attirando gli altri cuccioli del gruppo che subito si univano al gioco e alla risata, in realtà impercettibile alle nostre orecchie ma registrabile con strumenti a ultrasuoni. Anche le scimmie ridono. Da piccole gli basta il contatto o uno scambio di sguardi con la madre, la sorella, un coetaneo per lasciarsi andare all’ilarità più sfrenata, che si placa immediatamente di fronte a un maschio adulto, serio e minaccioso. In realtà molte scimmie ridono anche da adulte, pare per rafforzare i rapporti sociali mostrando la potenzialità aggressiva del ghigno risolta in una manifestazione gioiosa. A volte addirittura ridono in risposta a stimoli umoristici, una caduta, un inciampo, come nelle comiche di Stanlio e Ollio. E’ probabile che la risata non conseguente a uno stimolo fisico, ma piuttosto a una situazione umoristica sia nata qualche milione di anni fa, quando le prime scimmie antropomorfe cercavano di muoversi su due zampe, con capitomboli e ruzzoloni che scatenavano l’ilarità generale. Poi, circa due milioni di anni fa, gli antenati di Homo sapiens hanno evoluto la capacità di controllare volontariamente i muscoli motori facciali, molto più di quanto altri animali fossero mai riusciti, ed è scattato il passo in più. La risata, da risposta innata a stimoli fisici o ambientali, è divenuta strumento strategico, liberamente autogestito, al quale l’uomo può volontariamente accedere per nuove e imprevedibili funzioni: sottolineare passaggi della conversazione, manifestare imbarazzo, calmare gli animi, comunicare simpatia, trasmettere derisione. Insomma, il riso non è una manifestazione tipicamente umana, ma indubbiamente Homo sapiens ne fa un uso più deliberato ed estremamente vario.
Per dirla con Nietzsche “Non si può ridere di tutto e di tutti, ma ci si può provare”.
Claudia Bordese
MENTI ILLUMINATE
Venticinque anni fa insegnavo scienze in un piccolo liceo italiano ad Algeri, in Algeria. Uno studente viveva con accettabile ribellione i suoi diciassette anni, scandalizzando le compagne e sfidando noi docenti con disegni di donne nude che scarabocchiava su fogli sparsi, sui muri dei bagni, sopra banchi e cattedre. Un giorno il professore di disegno, per evitare al ragazzo infruttuose punizioni e nutrirne invece la penna e la mente, chiese al collegio insegnanti l’autorizzazione a mostrare al giovane immagini di opere di Klimt, nudi universalmente acclamati, per proporgli di studiarli ed esercitarsi a riprodurli. Tutti approvammo entusiasti, il giovane studente accolse con slancio l’inaspettata proposta e in breve convogliò in notevoli disegni ribellione e talento. Il professore di disegno era un insegnante locale, algerino, musulmano.
Come allora quel ragazzo, oggi il mondo ha bisogno che i musulmani illuminati facciano sentire la loro voce.
Claudia Bordese
INTUIZIONI
Quando Esopo oltre 2500 anni fa si inventò le favole per trasmettere insegnamenti morali, utilizzò l’arguto stratagemma dei personaggi animali, antropomorfizzandone il comportamento e il ragionamento. Lo scopo era quello di diffondere pillole di saggezza, poco male se il mezzo aveva poca credibilità scientifica: un leone non risparmierà mai un topolino in cambio della sua riconoscenza, e una tartaruga non batterà mai una lepre in una gara di corsa. Ciononostante, le morali di queste brevi favole sono giunte fino a noi, e nel corso dei secoli hanno profondamente influenzato la nostra cultura. Ci siamo sempre immedesimati in quegli animali, certi di essere i soli sul pianeta in grado di gestire situazioni anomale e di intuirne la corretta soluzione. Ma le strategie intelligenti non sono una esclusiva prerogativa della nostra specie. In un esperimento ispirato proprio da una favola di Esopo, un orangutango ha dimostrato una notevole abilità intuitiva nell’utilizzo di un mezzo liquido come l’acqua per risolvere una situazione inattesa. Posto di fronte a quello che pareva il set della favola “La cornacchia e la brocca”, con una irraggiungibile nocciolina a galleggiare in poca acqua in fondo a un tubo, l’orango ha prima sfogato la frustrazione prendendo a morsi, calci e pugni il tubo, e quindi ha trovato la soluzione nell’acqua della sua scodella, presa e sputata nel tubo fino a rendere accessibile la nocciolina. Ripetizioni dell’esperimento hanno dimostrato che aveva appreso il trucco, accelerando la risoluzione del problema, e lo stesso si è osservato con tutti gli altri oranghi posti nell’analoga situazione.
Condividiamo molte delle nostre presunte e presuntuose facoltà superiori - ma anche alcune di quelle meno piacevoli come irascibilità e irruenza - con le scimmie antropomorfe a noi più vicine. L’evoluzione ha poi selezionato per noi la via del linguaggio e forse della consapevolezza, allontanandoci dal nostro comune antenato. Chissà che i nostri stretti cugini, continuando ad accumulare esperienza, non stiano facendo tesoro proprio della morale de “La cornacchia e la brocca”: a poco a poco si arriva a tutto.
Claudia Bordese
PACE
Facciamo pace? Noi esseri umani comunichiamo a parole l’intenzione di mettere fine a uno scontro, parole alle quali aggiungiamo un sorriso o una stretta di mano. Fare pace vuol dire riconciliarsi, riallacciare i legami che uno scontro aveva spezzato. Alcuni alla riconciliazione preferiscono il rancore, pianta che mette radici nell’ignoranza, cresce alimentata dall’odio e quando dà frutti genera solo violenza. Una società non ricava vantaggio da questo comportamento, mentre mantiene il suo equilibrio, cresce e si sviluppa quando sa esercitare la fondamentale arte della riconciliazione. Che non significa chinare il capo davanti a un sopruso bensì, una volta accettate vittoria e sconfitta e le loro inevitabili conseguenze, acconsentire a ripartire evitando che dilaghi la malapianta dell’aggressività. Non siamo gli unici in natura a esercitare la dura arte della riconciliazione. E’ pratica diffusa anche tra molte scimmie. Privi di un articolato linguaggio verbale, questi nostri lontani cugini usano la gestualità per favorire la riappacificazione. I contatti amichevoli sono frequenti e sono in genere costituiti da abbracci, spulciamenti o anche solo dal sedersi uno accanto all’altro. I biologi hanno quantificato questi contatti in una situazione di pace, e quindi li hanno misurati dopo uno scontro. Il risultato ha mostrato un evidente aumento di contatti amichevoli tra gli individui coinvolti nel conflitto. I tentativi di riconciliazione partono sempre da chi ne è uscito sconfitto, anche se il riavvicinamento è il frutto di un accurato calcolo di costi e benefici. Ad esempio, la vittima dello scontro tenterà il riavvicinamento con l’aggressore in genere solo se il conflitto non è stato particolarmente violento, se con l’antagonista scambiava già in precedenza più contatti amichevoli che con altri, o se l’opponente è una femmina di rango elevato. In soldoni, fanno pace se gli conviene, contribuendo in maniera inconsapevole al benessere del gruppo, non dilaniato da sterile aggressività. Se ne hanno prese troppe non rischiano di buscarne ancora, se lo scontro è avvenuto con qualcuno di cui gli importa poco non sprecano energie per fare pace, mentre vale la pena tentare di riappacificarsi con un membro dominante del gruppo la cui amicizia in futuro potrà essere utile. Tutte cose che sappiamo bene, non dovremmo solo aspettare che sia una scimmia a ricordarcele.
Claudia Bordese
AGGRESSIVITA'
Pare che l’uomo non riesca a rinunciare alla guerra. Sovente gli aggettivi spesi per descriverne la violenza vorrebbero riportare alla sua natura animale, ma in realtà questo costante ricorso all’aggressività e la diffusa incapacità di risolvere i conflitti attraverso il dialogo e la cooperazione, sono prerogative della nostra specie. Se a un maschio di scimpanzè lanciate una nocciolina, la prenderà e se la mangerà, ma se la lanciate a due di loro, la ignoreranno. Molti animali preferiscono ricorrere a una soluzione non conflittuale per risolvere un problema, privilegiando un guadagno più piccolo ma più sicuro al dubbio esito di uno scontro frontale. Anche il nostro DNA, in realtà, privilegia la cooperazione. I primi uomini, sparsi e spersi nella foresta e nella savana africana, ottenevano un notevole vantaggio dal sapersi aggregare pacificamente ad altri cacciatori e raccoglitori; insieme al raccolto si spartivano anche rischi e benefici, e l’aggregazione cooperativa portò probabilmente allo sviluppo del linguaggio e della struttura sociale della nostra specie. Questo istinto è ancora ben radicato. Studiosi di antropologia hanno analizzato le risposte di persone diverse a situazioni che si prestavano a essere affrontate o con una strategia egoistica, volta a ottenere il massimo per se stessi ma con il rischio di perdere tutto, o con una strategia di cooperazione, che prospettava un guadagno per tutti, più basso ma certo: la netta maggioranza ha optato per una strategia di cooperazione, e l’analisi dell’attività cerebrale ha evidenziato il senso di piacere associato alla scelta di questa condotta.
I nostri parenti più stretti, scimpanzè e bonobo, assai di rado risolvono i conflitti con un’aggressione. I primi, più inclini alla violenza, tendono ad annullare la conflittualità riconoscendo il grado sociale dell’avversario, e quando la rissa è inevitabile non esitano a far pace con baci e abbracci. I secondi, assai propensi ad altruismo e generosità, evitano gli scontri dedicandosi all’amore libero, per calmare gli animi e rafforzare i vincoli sociali. L’uomo, che ancora troppo spesso ricorre alla violenza, sta iniziando a trovare una terza via tra yes-men e figli dei fiori, ed è quella del calcolo economico. L’aggressività costa, la cooperazione conviene - economicamente oltre che eticamente -, è produttiva e socialmente accettabile. Forse su queste basi riusciremo a costruire la pace.
Claudia Bordese
SIMBOLI
Viviamo di simboli, spunti grafici creati ad hoc per semplificarci la vita. Prima ancora di lasciare tracce scritte del nostro passaggio, abbiamo imparato a fare di alcuni oggetti i simboli di altri oggetti, come con chiarezza testimoniano conchiglie, manciate di sale e infine monete, ingegnosamente adottate come strumento di scambio. La capacità di ragionare e operare per mezzo di simboli era reputata esclusiva prerogativa della nostra specie, ma ciò è stato sconfessato dalla capacità degli scimpanzè di gestire simboli collegati al linguaggio. Ma non solo. I cebi dai cornetti, piccole scimmie sudamericane, sono in grado di associare oggetti simbolici a cibi differenti, e hanno dimostrato di saper ottenere la ghiottoneria desiderata scambiandola con l’oggetto che la rappresenta. Se la rotella vale tre noccioline e il gettone solo una, preferiscono prendere una rotella piuttosto che due gettoni, o quattro gettoni invece di una rotella, avendo ben chiaro che lo scambio successivo frutterà più noccioline. Di fronte all’offerta di più cibi entra ovviamente in gioco il gusto personale, e per alcuni un cereale glassato può essere più appetitoso di un pezzo di parmigiano, a sua volta più attraente di un seme di girasole. La scala delle preferenze si ripresenta con gli oggetti abbinati ai cibi. Il gettone associato al cereale glassato è preferito alla rotella associata al parmigiano e all’uncino rappresentante il seme di girasole. Ma, estremamente interessante, il ricorso ai simboli ha creato una distorsione nel valore di scambio, portando i piccoli cebi a scambiare quattro rotelle-parmigiano per un solo gettone-cereale. Come se il non maneggiare direttamente la merce ma un suo simbolo rendesse meno coscienti del valore reale e del costo sostenuto. Sembriamo più evoluti, ma ancora spendiamo incoscientemente quando abbiamo tra le mani una carta di credito.
Claudia Bordese
FAR DI CONTO
I nostri cugini macachi sanno contare. Dopo essere state allenate a eseguire semplici somme di oggetti uguali (una mela + una mela = due mele), due femmine di macaco sono state invitate a scegliere sullo schermo di un computer il gruppo di puntini che riproduceva la somma dei puntini visti in due videate precedenti. Le due giovani scimmie se la sono cavata onorevolmente, dimostrando di riuscire a eseguire, peraltro nel giro di pochi secondi, somme aritmetiche, e di farlo senza troppo sfigurare in un confronto con studenti universitari. Se questi ultimi hanno dato la risposta esatta nel 94% dei casi, la percentuale per i macachi è del 76%, un valore inferiore ma comunque sufficientemente elevato per escludere la casualità nelle loro risposte. Tra l’altro, pur se con diversa frequenza, il tipo di errore effettuato si è rivelato analogo nelle scimmie e negli studenti. Da questa curiosa ricerca si deduce che non è quindi una prerogativa umana la capacità di quantificare mentalmente e visivamente piccole quantità e addirittura di sommarle, ma piuttosto una capacità istintiva che non necessita di apprendimento e che ha antiche radici evolutive, tanto che diversi animali (uccelli, mammiferi) hanno dimostrato di saper contare, anche se in genere non si va oltre al distinguere tra 1, 2, 3 e 4, in alcuni casi semplicemente tra poco e tanto. Ma l’uomo nel suo lungo cammino non si è accontentato di enumerare e sommare. Quando l’agricoltura ha permesso di iniziare ad accatastare viveri nei magazzini, la necessità di tenerne traccia si è fatta impellente, e l’uomo ha iniziato ad annotare segni a cui far corrispondere quantità. In quel 2% di DNA che ci distingue dagli altri primati, tra linguaggio complesso e manualità ha sede anche la capacità di astrarre concetti concreti in simboli, che ha portato all’incomparabile rivoluzione dei numeri e della scrittura. Da tenere a mente.
Claudia Bordese
DOTTORI DI RICERCA
Ogni epoca è mossa da capitale umano dedicato: i contadini nei diecimila anni di agricoltura, gli operai nella rivoluzione industriale, i dottori di ricerca nella nuova economia della conoscenza.
Il dottorato di ricerca, terzo livello dell’istruzione universitaria, costituisce l’indispensabile anello di congiunzione tra sapere e ricerca, la chiave di accesso a tutte le carriere correlate a Ricerca&Sviluppo in ambito sia accademico che privato. Il valore aggiunto del dottorato risiede nell’acquisizione di una doppia competenza: nel campo altamente specialistico della tesi, e nelle capacità imprenditoriali e gestionali personali, avendo affinità abilità quali l’elaborazione di soluzioni innovative, la risoluzione di problemi complessi, lo sviluppo di strategie attraverso prospettive differenti, la gestione del tempo, delle risorse, e anche dell’insuccesso.
I dottori di ricerca rappresentano lo strumento di trasferimento della conoscenza e dell’innovazione dal sistema formativo universitario al tessuto imprenditoriale del paese, la risorsa umana di eccellenza per innescare e mantenere la crescita economica e la competitività.
Forse qualcuno se ne è finalmente accorto. I quotidiani riportano oggi (3 novembre 2014) l’assunzione per la prima volta in Italia nel settore privato di una ricercatrice con contratto di apprendistato in alta formazione riservato a dottori di ricerca: finalmente la possibilità di mettere la conoscenza al servizio dell’economia. Speriamo sia la prima di una lunga serie.
Claudia Bordese
SOTTOMISSIONE
AAA amante pioggia dorata cercasi. Un simile inconsueto annuncio, tra inserzioni e pruderie varie, rivela una perversione ben nota e forse amata anche dal grande Vate, che pare non disdegnasse nei preliminari amorosi l’urina delle sue amanti. Nell’incredibile prontuario sado-maso dell’erotismo, il pissing o urofilia sembra in fondo una delle pratiche più innocue, un gesto voluto forse per significare consegna totale di tutto il proprio essere, accettazione senza limiti del proprio partner, completa e irrevocabile sottomissione. Nei mammiferi l’urina riveste in effetti una funzione particolarmente importante nella comunicazione sociale, legata soprattutto alla marcatura del territorio. Ma osservando alcune scimmie si è scoperto che tale funzione è in realtà soppiantata da quella più probabile di docilità e sottomissione. Recenti studi etologici offrono infatti una nuova interpretazione all’usanza di alcune scimmie cappuccine sudamericane (Cebus apella) di lavarsi le zampe con la propria urina. Fino a non molto tempo fa, si pensava che la funzione principale di tale comportamento fosse quella di favorire la termoregolazione delle estremità o, in alternativa, di comunicare ai cospecifici il possesso di un territorio. In realtà l’osservazione diretta ha dimostrato una stretta correlazione tra il gesto di lavarsi le zampe nell’urina e la necessità da una parte di richiamare l’attenzione di altri membri del gruppo, dall’altra di manifestare la propria docilità. In particolare si è notato che i maschi quasi raddoppiano la frequenza del comportamento in presenza di femmine, forse a indicare la disponibilità a un docile approccio sessuale, mentre dopo un combattimento è quasi sempre il perdente che si lava le zampe nell’urina, probabilmente per allentare lo stress e riconquistare i favori del vincente. Un “me ne lavo le mani” decisamente carico di nuovi significati.
Claudia Bordese
CULTURA SCIENTIFICA
Come tutte le mattine, accendo il computer, mi connetto, apro il browser per controllare la posta. Prima di arrivarci, mi imbatto nella solita rassegna di notizie inutili spacciate per scoop sensazionali. Ci può anche stare, se qualcuno si diverte a crederci; ma ogni tanto si esagera. Sullo schermo appare un’immagine che rimanda a un video di una creatura marina mai vista prima, e che forse pertanto, a dir loro, è un alieno. Il filmato ci mostra quello che probabilmente è un crinoide, invertebrato parente di ricci di mare e stelle marine. Due i concetti che mi sovvengono: primo, lo studio e la conoscenza delle scienze naturali sono oggi nel nostro Paese irrisori, e l’ignoranza in questo campo è accettata oltre che diffusa dai principali mezzi di comunicazione; secondo, il nostro pianeta, e soprattutto i fondali marini, è ancora ricco di organismi viventi a noi sconosciuti (anche se non è detto che quello ripreso nel video lo sia), e il fatto che possano essere alieni alla nostra conoscenza non fa per forza di essi i rappresentanti di altri mondi.
Studiare e sostenere le scienze naturali vuol dire insegnare a stupirsi di quanto ci circonda, a chiedersi sempre “perché”, a dare un senso all’esistenza riconoscendo il nostro ruolo nell’ordine naturale delle cose. Pane e scienza, ecco cosa vi consiglio per domani a colazione.
Claudia Bordese
PARASSITI E RELIGIONI
Pare che parassiti e malattie epidemiche siano strettamente collegati all’evoluzione e alla segregazione di gruppi religiosi differenti. In pratica, nei Paesi dove era maggiore il rischio di trasmissione di malattie infettive e parassitarie, gruppi differenti – in quanto praticavano riti e confessioni differenti – tendevano a non mescolarsi ad altri, proprio per ridurre il rischio di contagio. Ciò non solo ha mantenuto le divisioni preesistenti ma, impedendo l’incontro fra gruppi diversi ha finito con il favorire la deriva verso nuovi culti. È interessante ancora oggi osservare che in Costa d’Avorio sono praticate 76 diverse religioni contro le 13 della Norvegia, mentre 159 culti differenti fanno proseliti in Brasile contro i 15 del Canada. Impressionante è la stretta correlazione tra questi numeri e quelli delle malattie parassitarie presenti nei medesimi Paesi, a parziale dimostrazione che forse più volte nella storia l’Altro e il Diverso sono stati tenuti lontani non per mancata accettazione della diversità ma per il terrore del contagio.
Claudia Bordese
PRESUNZIONE
L’osservazione e l’esperienza che ne consegue sono stati il motore dell’adattamento pressoché ubiquitario della nostra specie ai differenti ambienti terrestri. La comunione con la natura, il rispetto e il timore che ne derivano, hanno permesso per millenni all’uomo di convivere con l’imprevedibilità del clima e del territorio. Le esondazioni stagionali, le alluvioni impreviste, gli smottamenti inattesi, hanno tenuto gli insediamenti umani distanti dai fiumi, o meglio, sufficientemente vicini da sfruttarne tutti i vantaggi, ma a rispettosa distanza dagli argini più estesi.
Poi, circa cinquant’anni fa, qualcosa è cambiato. Forse lo sviluppo esponenziale della tecnologia ha alimentato un sentimento di onnipotenza, degno compare di superficialità e trascuratezza. E così abbiamo irreggimentato l’acqua, disboscato terreni e cementificato canali, abbiamo creduto di poterci prendere tutto lo spazio che volevamo, solo perché, essendo in grado di raggiungere la luna, pensavamo che la terra fosse per noi una conquista consolidata.
Ci siamo scordati di essere solo una di milioni di specie che hanno calcato il suolo terrestre, molte peraltro scacciate dall’inarrestabile evoluzione del pianeta.
Non siamo che pidocchi tra i capelli. Se troppo invadenti ed esigenti, la madre spazientita raperà a zero il pargolo. La sopravvivenza del bambino non è messa in discussione, i capelli ricresceranno, ma i fastidiosi parassiti saranno eliminati per sempre.
Claudia Bordese
ERMAFRODITISMO
Fa notizia una giovane atleta impossibilitata a partecipare ai confronti internazionali, perché il suo sesso non è ben definito: un’anomalia genetica le impedisce di definirsi femmina o maschio. Non so se il suo caso rientri nell’ermafroditismo, ovvero nella compresenza nel medesimo individuo sia degli organi sessuali femminili sia di quelli maschili, ma vorrei prenderne comunque spunto. In natura l’ermafroditismo è più diffuso di quanto si immagini, soprattutto nelle specie a bassa densità o con scarsa mobilità, nelle quali cioè reperire un partner a scopo riproduttivo è estremamente difficile. Il motivo è presto spiegato: se per noi - e per tutte le specie a sessi separati - un cospecifico in cui ci imbattiamo rappresenta un partner riproduttivo potenziale solo nel 50% dei casi, per gli ermafroditi, invece, ogni incontro è potenzialmente un successo. Non solo; quando un maschio e una femmina di una specie a sessi separati si accoppiano, una partita di uova viene fecondata da una massa di spermi. Nel caso di individui ermafroditi, la quantità di figli prodotti è raddoppiata, giacché in gioco ci sono due partite di uova e due masse di spermi. Sono ermafroditi le lumache, i lombrichi, molti invertebrati marini, innumerevoli pesci, e poi quasi tutte le piante superiori, i cui fiori ospitano sia una parte maschile sia una femminile, e per le quali - grazie all’ausilio degli insetti impollinatori - l’immobilità è solo un’illusione, dato che pochi animali sono in realtà in grado di diffondersi con pari efficienza e successo.
Quello dunque che a noi appare come un grottesco scherzo della natura, rappresenta in realtà la soluzione ottimale in termini di massimizzazione del successo riproduttivo.
Claudia Bordese
UN'INFANZIA ECCESSIVA
Per tutti gli esseri viventi la vita ha un solo scopo, perpetuarsi. Per realizzarlo la natura si è sbizzarrita nei più disparati comportamenti riproduttivi, sovente coronati dalla deposizione di un numero spropositato di uova. Con la conquista delle terre emerse due fenomeni hanno preso il sopravvento: l’accoppiamento con fecondazione interna – reso obbligatorio dalla mancanza di un mezzo liquido in cui disperdere uova e spermi -, e la riduzione del numero di uova deposte. Di conseguenza si sono evolute, nei gruppi animali superiori quali uccelli e mammiferi, le cure parentali, per aumentare le possibilità di sopravvivenza della prole e offrire loro l’opportunità di aggiungere l’esperienza del gruppo all’istinto del singolo.
Nei primati i cuccioli trascorrono gran parte della loro giornata aggrappati al pelo della mamma, scarrozzati in giro a osservare le dinamiche del gruppo, a metabolizzare tecniche di caccia e gerarchie sociali. Il compito del genitore non si esaurisce nel proteggere, nutrire, pulire e giocare, ma comprende anche l’importante processo dell’insegnamento, sovente impartito con l’esempio. L’osservazione del comportamento dei genitori e degli altri adulti è la miglior scuola per crescere nel rispetto delle regole, mantenendo l’equilibrio sociale indispensabile alla sopravvivenza del gruppo; la conoscenza è accresciuta dalla curiosità, lievito dell’esperienza, che permette di incrementare il sapere con nuove scoperte.
I cuccioli d’uomo sono particolarmente indifesi, e necessitano più di ogni altro animale di cure parentali: nutrimento, protezione, pulizia, gioco e insegnamento. Il problema è che, svincolati dall’evoluzione naturale, abbiamo ecceduto nel prolungare l’infanzia. Oggi ai giovani della nostra specie - viziati, iperprotetti – si impedisce di sperimentare il peso dell’impegno e del sacrificio, e in più si offrono esempi meschini e svilenti. Si pensa di tutelarli, e invece li si priva dell’esperienza. Non sono più curiosi, non ricercano nulla, perché tutto gli viene dato. Vivono un’eterna infanzia, giovani a 40 anni, privati della possibilità di mettersi alla prova.
Imitazione e curiosità. Dalla prima hanno poco di buono da imparare, della seconda non conoscono neanche più il sapore. E’ tempo di recuperare l’animale che è in noi, e di tornare a crescere.
Claudia Bordese
LA PAURA DELLA NOTTE
E’ dalle origini dei tempi che le tenebre ci angosciano. E’ una paura innata, che appartiene alla nostra natura e che da sempre consegniamo a miti e leggende. Nella mitologia greca Notte era la madre di Luce e Giorno, di Sonno e del suo gemello Tanato, la morte, oltre che genitrice di Discordia, Vendetta e Sarcasmo, cresciuti ben nutriti dal buio che tutto nasconde. Da un incestuoso rapporto con il figlio Sonno, Notte generò Morfeo, dio del Sogno, per sfiorare le palpebre delle genti addormentate e regalare con il suo tocco fugaci illusioni. Non è quindi la notte a farci paura, non lei che dolce e avvolgente nasconde i dettagli più scomodi, e cullandoci nel sonno ristoratore ci accompagna in un nuovo giorno. No, è il buio che la circonda che ci tormenta, con gli spettri dell’ignoto ad attenderci oltre l’oscura coltre nera. Siamo animali diurni, predisposti per affrontare le fatiche del vivere durante le ore di luce, non adeguatamente attrezzati per condurre vita attiva di notte. Conduciamo la nostra vita di giorno perché i nostri sensi danno il meglio alla luce del sole. E’ nei nostri geni più che nei miti che troviamo la spiegazione. I nostri cugini primati, cresciuti in giungle e foreste e dotati di un bagaglio sensoriale analogo al nostro sono animali diurni. Di giorno cacciano e raccolgono, di notte dormono e vigilano, perché la notte i pericoli sono tanti e le armi per affrontarli scarse. Bisogna risalire di molto l’albero dell’evoluzione per trovare un primate a vita notturna, il lemure. Spiriti della notte, questo il significato latino del nome, i lemuri affascinano per i grandi occhi adattati alla visione notturna, lo sguardo spiritato e i bizzarri sospiri con cui riempiono nottetempo le foreste del Madagascar, nel cui isolamento si sono evoluti diversi, anomali, notturni. Noi, con scimpanzè e gorilla, preferiamo godere del giorno. Di notte dormiamo, sogniamo il vissuto e l’ardito, in attesa dell’alba.
Claudia Bordese
CULTURA
Siamo animali culturali, ovvero esseri viventi per i quali ha più valore ciò che una generazione impara e tramanda alla successiva piuttosto che il bagaglio genetico che ci accompagna da alcune decine di migliaia di anni, anche perché la selezione naturale è stata disarmata dalle conoscenze mediche, dalla tecnologia e dall’etica. Ogni bambino ripercorre a gran velocità le tappe della conoscenza umana. Come un novello uomo preistorico, non sa nulla di astronomia, matematica e scienze, ignora Shakespeare e le liriche di Leopardi, ma imparerà in breve ciò che all’umanità è costato secoli di studi, ricerche, fallimenti e successi, e saprà ancora aggiungere qualcosa di suo, appreso nel corso della sua personale esperienza di vita, da trasmettere ai figli che lo seguiranno. E’ la cultura, cioè la trasmissione di quanto appreso nel corso della propria esistenza. Lo si riteneva appannaggio esclusivo della nostra specie, ma diversi studi ne hanno dimostrato l’esistenza anche in altri gruppi animali, in genere primati, testimonianza del valore evolutivo di questa prerogativa. Il problema con cui deve però oggi confrontarsi la nostra specie è quello dell'eccessiva distanza tra una generazione e l’altra, conseguente al continuo aumento e mutamento delle tecnologie a disposizione. Quando una nuova generazione avrà la sensazione di non aver nulla da imparare da quella precedente, semplicemente perché in possesso di tecnologie sconosciute a quest’ultima, valori come il rispetto e la disciplina potrebbero cadere a pezzi, e l’umanità vedrebbe scivolare tra le dita il prezioso filo dell’esperienza. Che sia già oggi?
Claudia Bordese
LA CONSAPEVOLEZZA DELLA MORTE
La grande maggioranza degli animali sa distinguere tra vivo e morto, e lo dimostra il sotterfugio della tanatosi, fingersi esanime per sfuggire a un predatore. Ma è un atto istintivo. Il pragmatismo della natura aiuta la maggior parte degli animali a traghettare i propri geni da una generazione all’altra, insensibili all’inevitabilità della morte. Alcuni si distinguono. Taluni elefanti mostrano una struggente consapevolezza della morte altrui, testimoniata da dolorose veglie dei propri cuccioli defunti. Ancor più evidente è la coscienza della morte in scimpanzé e gorilla. L’osservazione delle loro espressioni facciali di fronte al decesso di figli e parenti rivela dolore, tristezza e angoscia. La consapevolezza della morte altrui testimonia l’evolversi della coscienza di sé lungo il percorso dell’evoluzione. Nell’uomo, questa percezione è stata incrementata da un sentimento unico ed esclusivo della nostra specie, che ne giustifica l’inquietudine e l’irrazionalità: la consapevolezza della propria morte. Ne nasciamo privi, ne siamo totalmente ignari fino all’infanzia, e ancora irresponsabilmente incoscienti nell’adolescenza, ma la coscienza della nostra dipartita finisce con il pervadere la nostra esistenza. Da quando i nostri progenitori hanno tratto la conclusione: se tutti gli altri muoiono, prima o poi muoio anch’io, la consapevolezza della fine ha stravolto la nostra vita, impregnandola di tutti quei valori irrazionali che tanto ci differenziano dagli altri animali, quali riti, religioni e superstizioni, e ci ha spinto a costruire e accumulare instancabilmente, per lasciare scientemente memorie e beni che ci sopravvivano. Memento mori, la differenza è tutta lì.
Claudia Bordese
IL TALLONE DI ACHILLE
Quando Omero decise di assegnare all’iroso protagonista dell’Iliade un punto vulnerabile, scelse il calcagno, creando così il punto debole per antonomasia, il tallone d’Achille. Immenso poeta ma non uomo di scienza, non poteva certo immaginare l'errore. Una ricerca ha individuato proprio nel tendine che collega il piede al polpaccio, reso famoso dal furente acheo, uno dei punti di forza della nostra evoluzione, uno di quei piccoli dettagli che ci hanno reso unici. L’impossibilità di correre speditamente condiziona fortemente l’alimentazione di un animale, che finisce con il limitarsi a cibo raccolto: frutti, radici, piccoli animali, resti di carogne. L’evoluzione del tendine d’Achille, che ha permesso ai primi ominidi di correre a lungo e velocemente, ha aperto il sipario su un nuovo mondo. Sperimentato probabilmente da Homo erectus, ha consentito ai nostri antenati di imporre un nuovo ritmo alla camminata e alla corsa, e di mantenere senza più incertezze la postura eretta e l’andatura bipede. Le ricadute sono state enormi. La velocità consentita dall'accresciuta mobilità del piede ha offerto ai primi uomini la possibilità di cacciare, lasciando le mani libere per maneggiare armi, utensili e cibo. Come conseguenza l’alimentazione è nettamente migliorata, essendo notevolmente aumentato l’apporto proteico, e con l'andatura bipede è diminuito il dispendio calorico. Quindi più proteine e più energia a disposizione, e la possibilità di manipolare oggetti e, con essa, di stimolare il cervello. E poi la vista, sempre più lontano: stabile in posizione eretta, l’uomo poteva finalmente perdere lo sguardo all’orizzonte. Pareva una debolezza, si è rivelato il fulcro dell'umanità.
Claudia Bordese
ETICA E GIUSTIZIA
Filosofi e biologi dissertano da tempo sui fondamenti di etica, moralità e giustizia. I primi le considerano il frutto maturo della ragione, e ne escludono la presenza nel mondo animale. I secondi ne trovano la giustificazione in aree complesse del nostro cervello, che affondano le radici nelle società dei nostri cugini primati. Gli studiosi del comportamento animale hanno osservato la condotta di alcune scimmie in situazioni di conflitto o di ingiustizia. In questi animali, per garantire l’equilibrio del gruppo, si è evoluto un primitivo sistema morale, fondato su rispetto, lealtà e, se necessario, punizioni per chi viola le regole del gruppo. Ciò ha portato all’affermarsi dell'empatia, la capacità di provare le emozioni altrui, testimoniata dagli scimpanzé che, dopo uno scontro, non esitano a consolare lo sconfitto. Anche il senso della giustizia ha salde radici nel DNA che condividiamo con i primati. Ad alcune scimmie è stato insegnato a scambiare gettoni per pezzi di cibo: per ogni gettone consegnato la scimmia riceveva una fetta di cetriolo. A un certo punto, e casualmente, ad alcune scimmie anziché la fettina di cetriolo è stato dato un grappolo d’uva, ricompensa molto più appetitosa. Le altre scimmie a tale vista gettavano via il cetriolo, si rifiutavano di obbedire, insomma, si mostravano offese per l’ingiustizia provata. Il rispetto delle regole è un imprescindibile fattore di equilibrio in una società complessa. L’evoluzione lo ha plasmato nei nostri cugini primati, da loro lo abbiamo ereditato e quindi perfezionato con codici scritti, premi e punizioni, e ne abbiamo fatto il fondamento della società civile. Ricordarselo non sarebbe male.
Claudia Bordese