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CAMMINANO E CAMMINANO...
Corrono, strisciano, saltano, nuotano, volano, trottano, camminano. Gli animali sono sempre in movimento. Le piante, ben radicate al suolo, si nutrono e moltiplicano senza mai muovere un passo, poiché producono autonomamente il cibo necessario al loro funzionamento, mentre insetti pronubi, vento e uccelli disseminatori risolvono per loro la questione riproduttiva. Gli animali, volenti o nolenti, hanno scelto l’indipendenza del movimento per soddisfare le loro necessità primarie, fame e amore, e gestire al meglio tutte le conseguenze che ne derivano. Con alcune eccezioni. Spugne e coralli, che ci costa una certa fatica chiamare animali ma tali sono, hanno reputato più conveniente la soluzione dell’immobilità, facilitata dalle correnti marine che consegnano cibo e gameti direttamente a domicilio. Ma come si salgono i gradini dell’evoluzione animale inizia la lunga marcia alla conquista del proprio spazio vitale.
C’è chi per spostarsi ha scelto di strisciare, corpi morbidi che sinuosi si muovono sul terreno, sulle piante, su altri animali. I lombrichi, le lumache, le sanguisughe, trascinano i loro corpi da decine di milioni di anni, ben prima dei più evoluti serpenti, e ventre a terra camminano e camminano. Gli insetti hanno scelto di appoggiarsi su sei arti, sei zampe per muoversi sui muri, saltare tra l’erba alta, camminare in file interminabili seguendo una mappa invisibile tracciata da odori, luce, calore. Già, perché quelle file infinite di formiche che, disciplinati soldatini, avanzano incuranti degli ostacoli, sono mosse da segnali chimici scambiati con un lieve tocco di antenna, messaggi muti comunicati dall’avanguardia che segnala la presenza di cibo, magari frutti marci al suolo, qualche insetto morto, un inatteso ma graditissimo cesto da pic-nic, tutti validi motivi per mettersi in marcia. E loro camminano, in lunghe file ordinate, verso un lavoro da compiere per il bene della collettività. Non è certo per il bene delle conifere che i bruchi delle processionarie marciano in lunghe colonne compatte, nastri pelosi guidati verso i nidi da fili di seta che soffocano le nostre pinete. Anche le aragoste camminano sulle loro zampe articolate in file interminabili, che dai bassi fondali caraibici si perdono in abissi scuri e profondi. Con le antenne toccano chi le precede, forse a cercar conferma che la strada sia quella giusta, che il cammino porti dove deve, e dove noi ancora e per fortuna non sappiamo, probabilmente alla ricerca del luogo più sicuro per amarsi. E camminano, camminano.
Mentre l’evoluzione avanzava e la vita si complicava, il gruppo sistematico dei vertebrati, al vertice della piramide evolutiva, ha scelto di muoversi con quattro comode zampe, pur non facendosi mancare una certa stravagante variabilità. Così, tralasciando gli amici acquatici e quelli piumati, proseguiamo il cammino con bipedi e quadrupedi, lungo le strade dello stomaco e del cuore, ma anche della paura e del coraggio.
Nei boschi temperati, nelle savane e nelle praterie, gli erbivori grandi e piccoli lentamente camminano, con robusti zoccoli per macinare chilometri e chilometri o con zampe modellate per saltare. Brucano e spiluccano foglie e germogli, seguendo con passo tranquillo e cadenzato l’avanzare delle stagioni. Camminano verso nord o verso le alte quote al sopraggiungere del caldo, per trovare pascoli più verdi e un clima più tollerabile, oppure, là dove spadroneggia il calore torrido dei tropici o l’arsura del deserto, si muovono lungo le linee invisibili dell’acqua, per trovare ristoro e sicurezza per crescere la prole. A volte il costante spostamento è dettato dalla loro stessa voracità, che devasta le risorse e impone la continua ricerca. Non è solo il caso delle bibliche locuste, ma anche dei maestosi elefanti, a cui la mole impone un esorbitante consumo di foglie e cortecce e la marcia incessante verso nuove fonti di cibo. A volte è la cronica carenza d’acqua che costringe a passeggiate forzate attraverso terre aride e desertiche. I cammelli e i dromedari, attrezzati con gobbe e zoccoli per muoversi in deserti sabbiosi e rocciosi, è proprio seguendo il miraggio dell’acqua che avanzano sicuri tra le dune.
Lepri, caprioli, gazzelle, elefanti, cammelli, sono attrezzati per marce e camminate dall’incredibile campionario delle mutazioni evolutive. Chi è lento sarà ben protetto: dalla mole imponente l’elefante, dalla corazza rigida la tartaruga. Potrà invece permettersi di viaggiare leggero chi è veloce, perché fornito di articolazioni e muscoli per la corsa, per il salto o per entrambi. Antilopi, lepri, caprioli hanno nella fuga rapida l’unica protezione. Lentamente o di gran carriera tutti procedono verso il luogo ideale dove nutrirsi in abbondanza e affrontare nel pieno delle forze la stagione dell’amore. Ma la tranquilla camminata può divenire fuga, marcia forzata, trotto, galoppo, quando le zampe devono muoversi senza esitazione per sfuggire al predatore che incombe e che si sazierà del più lento e del meno agile, mentre i sopravissuti, scampato il pericolo, riprendono il cammino. E così, al seguito degli erbivori arrivano i carnivori, in un carosello senza sosta, dove prede e cacciatori seguono il cibo, i compagni, gli amori, lungo rotte tracciate da odori e suoni, luci e colori. Sì, perché l’incedere dell’animale non è mai un insensato girovagare. Mappe invisibili si presentano ai loro sensi, sempre all’erta, e li guidano là dove devono andare. Possono essere le tracce odorose lasciate dal sangue e da altre secrezioni corporee, che guidano il cammino verso una nuova preda o lontano da un potenziale predatore. Oppure possono essere dei segnali chimici, i feromoni, rilasciati da un individuo dell’altro sesso, un primitivo ma efficace fazzoletto lasciato cadere ad arte, e da raccogliere per coronare l’approccio amoroso. Oppure ancora sono strade di colori, una striscia verde in una landa brulla che certamente condurrà all’acqua, o il luccicare lontano della neve, dei ghiacci, delle onde. O possono essere i suoni, ringhi, fischi, latrati, ululati, segnali che come sirene invitano al cammino, verso una femmina in calore, una preda che si dibatte, o lontano da un pericolo che incombe.
Volpi, lupi, ghepardi, leoni, appoggiano al suolo morbidi cuscinetti armati di artigli implacabili, e silenziosi si spostano seguendo le loro prede, o le condizioni che renderà più facile trovarle. Il momento della cattura è repentino, ma la caccia è fatta di lunghe marce di avvicinamento, spostamenti lenti e silenziosi, che a volte richiedono giorni e settimane per il meritato appagamento. Ma non è questo l’unico motivo del loro continuo incedere. Per gli animali solitari e territoriali come le tigri o, più modestamente, i criceti, sovente la lunga e costante marcia è in realtà un vero e proprio pattugliamento, privo di una precisa meta fisica ma mosso dalla necessità di verificare che nessun intruso invada il territorio. Altri mammiferi si mettono in marcia da giovani maschi, perché la sopravvivenza nel gruppo è resa impossibile dal maschio dominante ma anche e soprattutto per ridurre il rischio di un accoppiamento con parenti prossimi e aumentare la variabilità genetica della prole. E’ quest’ultima una motivazione sufficientemente forte per incamminarsi verso l’ignoto, e accomuna, tra molti altri, giovani leoni, scoiattoli e babbuini, che lasciano i legami familiari per un lungo cammino verso l’età adulta.
Camminano gli gnu nelle distese africane in cerca di pascoli e acqua, guadando fiumi, saziando coccodrilli, ma continuando ad andare. Camminano i pinguini sulle distese ghiacciate dell’Antartide, impacciati, un po’ ridicoli, verso nuove zone di pesca e luoghi sicuri per deporre il loro prezioso uovo. Camminano gli elefanti, per chilometri e chilometri, per saziare lo stomaco, e camminano gli orsi, i lupi e le linci sulle nostre montagne, alla conquista di nuovi territori e di un po’ di pace. Che sia fame o amore, la motivazione a monte è sempre la medesima, sopravvivere, come individui o come geni.
Oggi nuove minacce alla loro sopravvivenza spingono gli animali a mettersi in cammino. A causa dell’invadenza della nostra specie e della conseguente limitazione degli habitat e delle risorse disponibili, per molti animali il cammino non è più solo ricerca, è anche fuga. Fuga da terre ormai prive di risorse, fuga dalla caccia dissennata, fuga da nuovi predatori, fuga da barriere sconosciute.
Esaurita la scintilla della conquista, annegata la curiosità nella noia, noi uomini consumiamo bulimici spazi e risorse, e loro camminano...
Claudia Bordese
pubblicato su Piemonte Parchi n. 177, luglio 2008, pagg. 6-9